Lo scorso 21 settembre c’è stata la Giornata mondiale dell’Alzheimer, mostro che in Italia assale oltre un milione di malcapitati e intrappola a tradimento tre milioni di familiari, ribattezzati caregiver, con spese e sacrifici enormi per soccorrere un parente che, se il suo quadro clinico è senza speranze, riceve 531 euro mensili di pensione di accompagnamento insufficienti per chiedere l’aiuto di una badante preparata. A parte casi eccezionali di associazioni di volenterosi, la società si gira dall’altra parte consapevole della condanna già sentenziata per quei disgraziati. La scienza, la medicina se ne appassionano a livello di ricerca obbligata dalla coscienza, ne approfondiscono cause ed esperienze tramite seminari senza costrutto.
Accettato che non esistono vaccini, farmaci, terapie risolutive, si ricorre a metodi energici per tentare di rallentare la progressività della malattia: sedativi, tranquillanti, ipnotici, di fatto palliativi. Forse se ne riesce a contenere l’aggressività, le follie, ma è inevitabile si affretti il rapido declino delle funzioni vitali. Negli Usa e in altri Paesi si destinano fior di quattrini almeno per migliorare la qualità della vita e irrobustire le risorse del calore sociale e degli affetti familiari.
I caregiver non hanno bisogno di cordiali incitamenti, ma di garanzie sull’unica alternativa utile di pronto soccorso nazionale per le demenze oggi destinate a soccombere nell’emarginazione: assistenza domiciliare pubblica quotidiana di carattere sanitario e sociale come dimostra l’esperienza di altri Paesi senza dispersione di denaro pubblico in mille inutili rivoli.
Fonte della notizia: www.corriere.it