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Alzheimer, bloccare un enzima per fermare la degenerazione del cervello

Uno studio dell’Università Cattolica e Policlinico Gemelli svela un importante meccanismo alla base della malattia e individua nuovi bersagli terapeutici

Contrastare il declino cognitivo e il danno al cervello tipici della malattia di Alzheimer bloccando l’attività di un enzima (S-aciltransferasi o zDHHC) con un farmaco somministrato tramite spray nasale. È l'affascinante ipotesi cui stanno lavorando alcuni ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, descritta in uno studio pubblicato sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences). Il gruppo, diretto da Claudio Grassi, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e professore ordinario di Fisiologia all’Università Cattolica, e Salvatore Fusco, professore associato di Fisiologia, in collaborazione con l'Università di Catania, ha scoperto che nel cervello di persone morte che soffrivano di Alzheimer è presente un eccesso dell’enzima S-aciltransferasi, che potrebbe divenire, dunque, il bersaglio di nuove cure; inoltre gli esperti hanno osservato che maggiore è la concentrazione dell'enzima nel cervello, peggiori sono le performance cognitive del paziente.

Declino cognitivo e diabete

Alla base della malattia di Alzheimer vi sono alterazioni a carico di alcune proteine, tra le quali beta-amiloide e tau, che si aggregano e si accumulano nel cervello. La funzione di queste proteine è regolata da numerosi «segnali», tra cui l’aggiunta di una molecola che viene agganciata attraverso una reazione biochimica chiamata S-palmitoilazione, eseguita ad opera degli enzimi S-aciltransferasi (o zDHHC). «In studi precedenti avevamo dimostrato che l’alterazione della S-palmitoilazione di proteine sinaptiche gioca un ruolo fondamentale nel declino cognitivo correlato alle malattie metaboliche come il diabete di tipo 2 e che lo sviluppo di insulinoresistenza a livello cerebrale può interferire con la quantità degli enzimi zDHHC attivi» spiega Fusco. Esiste una stretta correlazione tra insulinoresistenza e malattie neurodegenerative, tanto che la malattia di Alzheimer viene anche definita «diabete di tipo 3». «In questo nuovo lavoro abbiamo dimostrato che nel cervello, durante le prime fasi della malattia di Alzheimer, l’insulinoresistenza cerebrale determina un aumento della quantità dell’enzima zDHHC7 e l’alterata S-palmitoilazione di proteine importanti per la regolazione delle funzioni cognitive e dell’accumulo di proteina beta-amiloide» prosegue Fusco.

Accumulo di proteine dannose

«I nostri dati dimostrano che, in modelli sperimentali di Alzheimer, l'inibizione sia farmacologica che genetica della S-palmitoilazione proteica è in grado di contrastare l’accumulo di proteine dannose per i neuroni e ritardare l'insorgenza e la progressione del declino cognitivo. Inoltre, anche nei cervelli post-mortem di pazienti deceduti con l’Alzheimer, abbiamo riscontrato elevati livelli di zDHHC7 e di S-palmitoilazione proteica, identificando una correlazione inversa tra i livelli di S-palmitoilazione della proteina BACE1 e il mantenimento delle funzioni cognitive nei pazienti» aggiunge Francesca Natale, primo autore dello studio. In pratica, nello studio, i pazienti con bassi livelli di S-palmitoilazione della proteina BACE1 hanno totalizzato punteggi migliori alla scala di valutazione cognitiva in uso, la «mini mental state examination» (Mmse).

Nuovi approcci terapeutici

In esperimenti condotti su topi geneticamente modificati (per riprodurre il quadro clinico della malattia di Alzheimer), i ricercatori hanno «spento» gli enzimi zDHHC con un farmaco sperimentale somministrato tramite spray nasale, il «2-bromopalmitato»: in questo modo sono riusciti a fermare la neurodegenerazione, riducendo, tra l’altro, l’accumulo di beta-amiloide e allungando la vita degli animali. «Ad oggi, non sono disponibili farmaci in grado di bloccare selettivamente l’enzima zDHHC7 e il 2-bromopalmitato non è sufficientemente preciso - sottolinea Claudio Grassi - ma, grazie a un finanziamento ottenuto nell’ambito del bando PNRR 2023 da parte del Ministero della Salute, testeremo in modelli sperimentali nuovi approcci terapeutici facilmente traslabili un domani nell’uomo, come terapie basate su "cerotti genetici" (piccoli oligonucleotidi che si attaccano all’Rna dell’enzima zDHHC e ne impediscono la maturazione) o proteine ingegnerizzate capaci di interferire con l’attività degli enzimi zDHHC».

 

Fonte della notizia: www.corriere.it

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